L’Alter-avanguardia della Scuola romana del gioiello contemporaneo a Valenza Nel raccogliere un’eredità storica tanto imponente per statura e per consistenza di tempo, un gruppo di autori, operanti nel medesimo spazio culturale, possono essere considerati appartenenti al fluire di una tradizione di almeno due millenni, identificabile come Scuola Romana delle Arti Orafe. Dai tesori di Boscoreale di epoca imperiale, attraverso gli splendori dell’argenteria di marca barocca e neoclassica, sino all’esperienza avanguardista del gioiello d’artista, celebrata nel cuore della Città Eterna con la gioielleria Masenza, Roma testimonia la capacità di trasferire di Maestro in allievo il valore di conoscenze di stili e tecniche in una continuità senza precedenti per territorio e identità. Così il gruppo di ricercatori dell’Alteravanguardia del gioiello contemporanea romano, condensano gli elementi multidisciplinari umanistici e tecnici desunti dalla propria tradizione, attualizzandoli in sperimentazioni audaci e stimolanti, in grado di reinterpretare l’intera coscienza storico-culturale di appartenenza. Il neologismo Alter-avanguardia è stato coniato appositamente per questo gruppo, il quale esprime con le proprie specifiche diversità, il valore di alterità come carattere altro, che si distingue dal fluire delle merci del nostro tempo, in un processo di forte intellettualismo tradotto nella forma significante, grazie al controllo del mestiere. Sta di fatto che ogni autore contribuisce al grande affresco complessivo della Scuola con un rituale di diversità, tanto da delineare una peculiare attenzione per il particolare che urla per essere guardato a tutti i costi, quale alternativa all’era del gigantismo globalizzante, così da spingere per il riconoscimento in un mare indefinito di forme, spesso prive di senso. Le tessere del mosaico romano, pur appartenendo alla stessa trama, si distinguono per forma, colore e significato: Remigio Maria Caserta fa leva sulla filosofia platonica rinascimentale, evocando i prìncipi della scienza dell’universo, descritta con i pianeti elaborati nei pregiati marmi romani; Fabio Cappelli esalta la ricerca di una tecnica complessa di sovrapposizioni di metalli diversi, comparandola alle mescolanze genetiche, e agli adattamenti ambientali segnati dalle migrazioni dell’uomo nei secoli; Simona Kemenater induce lo spettatore allo stimolo di una percezione giocata sulla citazione e su più registri narrativi, dalla formula dell’architettura ridotta alla traduzione di un naturalismo venato di tinte di simbolismo archeologico; Cristiana Perali indugia sul valore di mimesis come imitazione della forma ideale della realtà, secondo la concezione dell’estetica aristotelica; Glauco Cambi agisce forzando la materia sia nella direzione di audaci tensioni plastiche e curiosi giochi cinetici, sia nella sublimazione di cromie rispondenti al destino dell’inevitabile mutazione dei metalli, in dialogo con le gemme che per l’autore sanno parimenti raccontare la propria genesi evolutiva; Michele Forlenza studia i materiali a sua disposizione e li trasforma in occasione narrativa per il proprio universo di antropologia popolare, le cui forme indagano la tradizione di una memoria antica del territorio che sa rimanere purtuttavia viva e vibrante; Daniele Carradori costruisce poliedri esaltati dall’uso delle resine fluorescenti, ogni pezzo appare come l’apparizione di un esito prima che ciò avvenga, nell’attesa di sprigionare un’energia contenuta che aspira a diventare nuova storia; Fabrizio Negri esprime strutture filiformi destinate a divenire materia compatta, generando il senso di un dinamismo sottolineato da inquieti equilibri, il cui fine è generare nel riguardante l’idea di un movimento mai definito; Francesca Gabrielli esalta dapprima gli aspetti di riproduzione digitale, per poi piegarli in una forma di poetica umanistica chiamata a sottomettere la macchina alle proprie esigenze di linguaggio, e rivendicare il diritto dell’essere a primeggiare rispetto alla tecnica; Rocco Epifanio si destreggia tra la forma esile e massiccia, in un dialogo di forte tensione materica, attraverso il quale sembra voler attrarre il visitatore sulle potenzialità dei messaggi che stimolano la fantasia; Laura Abramo agisce attraverso la memoria di un tempo biologico che definisce uno spazio mentale in fluido movimento organico, filamenti che avvolgono e contengono materia altra, oppure spazi vuoti nell’attesa di una nuova storia; Franchi Argentieri sembra eludere la radici delle proprie tradizioni in una ricerca trasgressiva per modalità e linguaggio, mentre nella realtà dialoga con l’universo della street art contemporanea, rinnovando il debito negli antichi antenati di memoria barocca, che piegavano l’arte argentiera al sistema degli apparati effimeri, consci del fatto che ogni tempo vive il suo essere contemporaneo rivoluzionario senza rinunciare alla storia e all’identità di appartenenza.
Claudio Franchi Curator